domenica 19 luglio 2015

L'ALBERO DELLA VITA



Warka Water, l’albero della vita che trasforma l’aria in acqua. August 12 2014

E’ un’invenzione Italiana, una struttura in bamboo che raccoglie l’acqua e salva la vita a migliaia di persone. Gli inventori sono due Italiani, Arturo Vittori e Andrea Vogler dell’Architecture and Vision con il sostegno del Centro Italiano di Cultura di Addis Abeba e la EiABC (Ethiopian Institute of Architecture, Building Construction and City Development). Il progetto Warka Water, presentato per la prima volta alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2012, è rivolto alle popolazioni rurali dei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni infrastrutturali ed igieniche rendono l'accesso all'acqua potabile quasi impossibile. La struttura trasforma attraverso un processo di condensazione l’umidità in acqua potabile. Un progetto quindi “tutto italiano” per aiutare le persone in Etiopia. L’invenzione è ingegnosa, si tratta di un albero dell’acqua, una torre alta circa dieci metri, la torre dell'acqua ha una struttura reticolare a maglia triangolare realizzata con il giunco, materiale naturale facilmente reperibile e può essere costruita facilmente dagli abitanti stessi. All'interno della torre è alloggiata una rete realizzata con un tessuto speciale, polietilene tessile, in grado di raccogliere l'acqua potabile dell'aria tramite condensazione. La struttura pesa solo 60 kg, è composta da 5 moduli che possono essere installati dal basso verso l'alto da 4 persone senza la necessità di ponteggi, data la sua leggerezza il sistema deve essere fissato al terreno. “Warka Water” può raccogliere fino a 100 litri di acqua potabile al giorno. All’esterno, una custodia consente all’aria di passare, mentre all’interno una rete di nylon raccoglie le gocce di rugiada in superficie. La differenza di temperatura fra giorno e notte crea la condensa che scivola in un contenitore e l’acqua arriva a un rubinetto attraverso un tubo. Il costo di ciascun Warka Water è limitato, 360 euro e considerando che può funzionare anche nel deserto, rappresenta una soluzione per milioni di persone in Africa e non solo, che soffrono per il mancato accesso all’acqua potabile. Per costruirlo, quattro persone impiegano dieci giorni al massimo. Secondo il giovane architetto Arturo Vittori:"Trasformare l’aria in acqua è un processo che non ha nulla di speciale. Lo fanno i comuni deumidificatori che abbiamo tutti in casa. In assenza di elettricità, in questo caso si sfrutta l’escursione termica fra il giorno e la notte, come facevano gli egiziani quattromila anni fa”. Il nome della sua invenzione deriva dal warka tree, grande albero del fico. Il progetto di Vittori ha già fatto il giro del mondo, se ne sono occupati la Cnn e Wired. L’idea all’architetto è venuta durante un viaggio in Etiopia, dove per la scarsità delle risorse idriche a disposizione, le donne sono costrette a camminare per giorni prima di riuscire a trovarne. In particolare nelle aree montane dell'Etiopia le donne e i bambini sono costretti a percorrere lunghi percorsi a piedi per approvvigionarsi da fonti la cui sicurezza dell'acqua è compromessa dal rischio di contaminazione dovuto alla condivisione delle fonti con il bestiame. Questa situazione comporta, oltre ad un elevato rischio per la salute, un aggravio notevole di lavoro per le donne già impegnate in molteplici mansioni domestiche ed accentua l'impossibilità per i bambini e le donne stesse di accedere all'educazione scolastica. Il “Warka Water” si pone come soluzione alternativa per risolvere almeno in parte questa situazione. Finora ne sono stati realizzati quattro, ma adesso occorre passare alla fase operativa. Ne va costruito uno in Etiopia e valutare nell’arco di un anno se i calcoli secondo cui a quelle condizioni climatiche, si possono ottenere fino a 90 litri d’acqua al giorno, sono precisi. Per farlo servono fondi. Centocinquantamila dollari da reperire attraverso il crowdfounding, la rete, visto che si tratta di un progetto che ha poco a che fare con il business. Il costo di ciascun albero è limitato e il Warka Water è replicabile senza troppe difficoltà. Il progetto italiano raccoglie al suo interno i segni di diverse fonti di ispirazione, che uniscono l'aspetto sociale, ecologico ed estetico. Il nome Warka scelto per il progetto, deriva dalla lingua etiope ed identifica un grande albero di fico, che nella tradizione è simbolo di fecondità e generosità. Allo stesso tempo Warka, nella cultura pastorale etiope, designa il luogo di aggregazione e istruzione della comunità. Purtroppo a causa del progressivo disboscamento di queste aree la scomparsa di questi alberi e dell'identità culturale ad essi legata sembra inevitabile. Da un punto di vista ecologico, il sistema trae ispirazione dal piccolo coleottero Namib, copiando le sue strategie di adattamento al clima. Il piccolo insetto raccoglie l'acqua del deserto facendo condensare l'umidità sul suo addome, dove si trasforma in piccole gocce, che scivolando sul dorso idrorepellente, raggiungono la bocca. Infine, da un punto di vista estetico gli architetti si sono ispirati all'artigianato tradizionale etiope ed alle nasse tradizionali utilizzate nel Mediterraneo. La speranza è quella di poter iniziare a diffondere nel 2015 le Warka Water nei territori rurali etiopi. Se la raccolta avrà successo, il primo albero dell’acqua potrebbe arrivare in Africa già nel 2015 e da quel momento, la storia per le popolazioni africane potrebbe cambiare. Decisamente in meglio. Ecco il video:



lunedì 13 luglio 2015

Alle care colleghe e amiche, Einanda, Paola e Rosalba : Antonio.Sacerdote 30-06-2015

Alle care colleghe e amiche, Einanda, Paola e Rosalba: Antonio Sacerdote 30-06-2015


Scunforte e Joje
Lu scunforte ci’à pijate
dope la cruda suffiate
de ‘na scite inaspettate.
Nu mumente de smarrimente
e lu core subbete ci’à rntunate mbette,
nu brivede ghiacciate
e’na lacrime sfuggite
fanne avanzà la cummuzione
pe ‘sta nuova situazione…
Einanda, Paola e Rosalbe
se ne vanne mpensione.
Tre “Grazie”,
ne redete,
ne so quelle famose a lu pijà ngire
(grazie, grazielle e grazie… vattel’a pesche).
Esse, so quelle forse mene famose,
ma se lu mite è lu vere
e la memorie ne mganne,
so’ n’afreche cchiù fregne:
sbrelluccicose, prusperose e juiose.
L’uneca cunsulazione
che ce fa rassenerà
e che ‘ste tre Dee
anne finite lu strazie
de ‘na scole scunclusiunate:
Chi le vo cotte e chi le vo crude
e lu pegge è che lu prime che se alze la matine,
de lì signure de Rome,
le vo arfà da cape.
(“che ve putesse pijà a lu cuntrarie tutte lu bbene de stu monne…”).
Le vonne arfà senza caccia ‘na lire,
senza sentì ragione
e senza guardà nfaccia a niscjune,
manche a chella faccia
di chille che,
dopo trenta-quarantanne “d’onorata carriera”,
s’anne cunquistate lu bbene
de tutte le citile de stu paese.
N’atru pensiere cunsulatore
e che, ste tre cumpagnone,
ce le puteme gudè
fore dall’ècole,
senza cunsije e culligge,
senza prugramme e relaziune,
senza false cumpustezze
ma che sentite e sincera currettezze,
tra la stime de tutte li cullighe
che vanne deventate amiche.
E, cunvinte che se vulete,
ma le vulete sicure,
puntete nseguì lu sole,
l’aria bbone ‘ngire pe lu monne,
libbere d’arculmà lu corpe e lu core
de tutte le sfiziarie e le vulije
che pe la fatije v’avavate scurdate,
‘sta bbella cumpagnije de Spultore,
ve salute che ste ddù righe
e in allegrie, con stime e joje,
alze lu bbicchire a lu ciele
e v’augura bbone “inizie”,
bbona “matine”.








La professoressa Daniela Musini  saluta le colleghe con brevi ed esilaranti versi che stemperano le emozioni e rallegrano  l'ambiente .




La Professoressa Anna Maria Morelli saluta le colleghe con  riflessioni di grande attualità  e ricordi sinceri di affetto e stima.